di Elisa Chinazzo

Passati cinque mesi dalla morte della più grande punker della moda, Vivienne Westwood ci ha lasciato un enorme eredità, fatta di libertà, anticonformismo e rivoluzione. Tutto ciò serve, ancora oggi, a smuovere le menti delle nuove generazioni. Donna senza peli sulla lingua, ha sovvertito tutte le etichetti, i tabù e i pregiudizi che danneggiano ogni possibile visione creativa. Possiamo dire a gran voce che è stata lei, forse ancor prima dei Sex Pistols, a inventare il punk e imprimerlo per sempre nel nostro immaginario.
Si è vero, il punk è una sottocultura che prima di tutto nasce negli Stati Uniti e nel Regno Unito tra gli anni ’70 e ’80 come genere musicale. Ma il vero punk britannico inteso come stile di abbigliamento e di vita nasce grazie alla collaborazione tra Malcolm McLaren e proprio Vivienne Westwood, sua compagna. Insieme aprono il negozio “Let it rock” in King’s Road, a Londra, che però cambierà nome diverse volte finché nel 1974 verrà soprannominato “Sex“. Così diventa punto di riferimento per tutti i giovani rocker e ribelli del momento ed è lì che la Westwood crea e vende i suoi abiti. Tra i pezzi più famosi si ricordano le t-shirt con le grafiche provocatorie come quella di un seno nudo o il completo sadomaso con le cinghie tra le gambe. Ma la più iconica probabilmente rimarrà per sempre la t-shirt con la scritta God save the Queen, brano dei Sex Pistols, emblema della sottocultura e manifesto di un odio per la monarchia del tempo. La band infatti deve il suo successo ad entrambi, sia a Malcolm in quanto loro manager e sia a Vivienne che prestava gli abiti dal negozio.
Il termine inglese punk sta ad indicare qualcosa di scarsa qualità o da due soldi. In realtà, oggi ciò che sa di punk è molto di più di una cosa da quattro soldi. Tutto ciò che è tartan, spille, toppe, borchie, scritte a spray, dettagli sadomaso-fetish come gonne di latex, o pantaloni di pelle e guanti, sono caratteristiche di questo stile fino ad oggi. I jeans, le maglie e le camicie venivano strappati in senso di protesta e non di effimera moda. Addirittura, venivano disegnate svastiche per il solo scopo di scandalizzare. Le ragazze senza pudore indossavano gli hot pants con calze a rete e gli uomini usavano il leopardato, in particolare Sid Vicious col suo famoso gilet. Così possiamo finalmente parlare di una vera rottura delle distinzioni di genere. Tutti indossavano gonne e kilt, tutti truccavano gli occhi indistintamente dal sesso. Era una regola universale.
I seguaci in realtà avevano ideologie politiche diverse ma l’idea comune è sempre stata il rifiuto per qualsiasi forma di controllo.

Il punk si è fatto avanti attraverso tutti quei musicisti definiti poi protopunk, i quali hanno elementi stilistici del punkrock o punk77, con influenze estetiche tipiche dei mods e del Glam Rock. Parliamo dei The Stooges, The Clash, Ramones, The who, Velvet Underground, oltre ai già citati, Sex Pistols. In Italia la sottocultura si è sviluppata verso la fine degli anni ’70 con band come Skiantos, Tampax, Kandeggina Gang e Negazione. Richard Hell, membro di diverse band, è invece considerato il primo a vestire punk negli Stati Uniti. Nel 1977 Zandra Rhodes crea la collezione “Conceptual chic”, mentre Versace si ispira al punk solo nel ’94 con l’abito Safety Pin, indossato da Liz Hurley.
Oggi il senso di ribellione contro quei valori tradizionalisti e conformisti che non rappresentano più la società e che opprimono sia le classi più povere che i giovani è un tema ricorrente. Quella rottura delle distinzioni sociali e sessuali è attuale tra i giovani ma c’è ancora un immenso wall da abbattere. Un muro fatto di pregiudizi, stereotipi e limiti imposti dalla cultura, dalle tradizioni e dai governi. Parlare di questo ci sembra attuale più che mai, vista l’incoronazione del Re Carlo, e ci chiediamo cosa ne avrebbe pensato di tutto ciò Vivienne, la regina d’Inghilterra del punk. Con la sua filosofia anticonformista, questa tendenza cerca di essere ancora presente nella moda. Oltre ai soliti stilisti e case di moda più famose che si interessano al punk come Givenchy, Alexander McQueen, Maison Margiela, Balenciaga, Burberry, ci sono brand minori come Junya Watanabe, con delle collezioni punk mixate alla moda decostruttivista per le sfilate A/I e P/E 22-23, come Jun Takahashi di Undercover (stilista giapponese) e Rok Hwang di Rokh (stilista coreano) che perseguono la stessa strada. In Italia, abbiamo colui che è stato definito “il designer del punk gentile”, Simon Cracker il quale porta in passerella il punk strappando, distruggendo e decostruendo tutto ciò che già esiste. Capi basici trasformati che riprendono vita, quelli di Simone, sono un mix di stile tra i Sex Pistols e le Holly Hobbie.
Così il punk resta sempre dentro a ognuno di noi in ogni ambito e in ogni abito perché come dicevano i giovani riottosi: “punk is not dead“.
In conclusione, vi consigliamo alcuni film sul punk:
Pistol (serie), Punk in London (documentario), Sid & Nancy (film), Blitzed (documentario), Westwood: Punk. Icon. Activist. (documentario)


