Standing ovation per il debutto di Pierpaolo Piccioli da Balenciaga

articolo di federica lo cascio

Sapevamo che il debutto di Pierpaolo Piccioli da Balenciaga sarebbe stato un momento spartiacque. E lo è stato. Dopo l’epoca dirompente di Demna, era chiaro che ci sarebbe stato un cambio di rotta. Ma ciò che ci ha colpito non è stato tanto il distacco estetico (quasi inevitabile), quanto la coerenza profonda che lega due visioni così apparentemente opposte.

Piccioli non ha cercato di inseguire l’ombra del suo predecessore: ha tracciato un sentiero nuovo, personale, e profondamente umano. Con la collezione “The Heartbeat”, ha portato a Balenciaga una dimensione emotiva, intima, politica, ma senza retorica. Un ritorno a una forma di couture che non è solo taglio e tessuto, ma narrazione e visione.

La collezione si inserisce in modo rispettoso e potente nel solco dei grandi predecessori. Da Cristóbal Balenciaga, Piccioli riprende l’approccio alla leggerezza radicale: emblematico il Sack Dress del 1957 che pesa meno di un chilo, in aperto contrasto con l’opulenza strutturata di altri couturier dell’epoca, come Dior, i cui abiti arrivavano anche a nove chili di stoffa.


Al tempo stesso, Piccioli guarda a Demna, ereditandone l’attitudine anti-conformista, quasi da guerrilla urbana, ma reinterpretandola con il suo tocco inconfondibile: il colore, che per lui è sempre un gesto politico, poetico, vitale.

Se Demna è stato l’architetto del disordine post-sovietico, della distorsione culturale, della brutalità urbana trasformata in linguaggio moda, Piccioli è il poeta dell’empatia. Ma entrambi, a modo loro, fanno la stessa cosa: danno voce al presente. Partono da un’urgenza – estetica, sociale, emotiva – e la trasformano in abiti.

In un tempo in cui la parola “couturier” sembra anacronistica, noi siamo convinti che Demna e Piccioli siano gli unici due veri eredi di quella tradizione. Non perché siano sarti (non lo sono in senso tecnico), ma perché hanno la capacità di creare un mondo. Di far sì che ogni collezione sia una dichiarazione, un frammento di tempo impresso nel tessuto.

Nel frattempo, Demna ha iniziato a costruire una visione nuova per Gucci. Una visione che, paradossalmente, è anche la più antica che ci sia: la famiglia, con tutte le sue sfaccettature, fragilità e legami invisibili. In un’epoca che tende alla disconnessione, Demna sceglie di guardare dentro, alla radice affettiva e identitaria del brand. Entrambi sono abilissimi nel prendere il meglio dell’archivio e trasformarlo in qualcosa di profondamente contemporaneo. Non solo per vendere, ma per dire qualcosa in un periodo storico complesso, fragile, incerto. E questa, oggi, è forse la forma più autentica di moda che possiamo chiedere.

Amiamo entrambi. E ci sembra fondamentale continuare a sostenere chi, pur nella complessità del sistema moda, ha ancora qualcosa da dire. Perché la moda non deve solo vestire, ma parlare.


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