la prima di una lunga serie

di federica lo cascio

È la sera prima dell’inizio della fashion week di Milano, la città è frammentata come un sacchetto pieno di pezzi di puzzle. Nulla è più come prima dalla morte di Armani, o forse è sempre stato così e non ce ne siamo mai accorti.

Siamo stati invitati alla presentazione della collezione d’esordio dell’emergente Madalina Caminschi, laureta in Business Administration e approdata a Milano per completare un master in Fashion Design presso l’Istituto Marangoni. Io sinceramente non avevo idea di chi fosse. Purtroppo, o per fortuna, non ho una cultura sull’influencing e non seguo tutto ciò che fa tendenza. Credo però fortemente che la visione del bel paese sia ancora un forte trend, sulla scia del made in Italy.

Così Madalina lo segue, ci fa una collezione e crea un evento ad hoc per il pubblico milanese e non solo—perché la maggior parte del pubblico sono influencer, mica giornalisti, mica addetti ai lavori. Ma gente che ancora crede alla narrazione del bel paese, a spaghetti e mandolino, alla cena in riva al lago di Como, al caffè nella piazza centrale di Capri.

“La collezione Spring Summer 2026 segna il debutto della maison, incarnando una visione nitida e raffinata della moda contemporanea, che riflette pienamente la sua identità e il suo approccio al design” — queste le parole tratte dal comunicato stampa lette prima di entrare in sala. Parole che non abbiamo compreso a fondo.

Tutto molto bello: lo spumante, il cibo, le rose, la musica. Ma gli abiti? Non vi era un concept dietro, sembrava che tutto fosse uguale e distante tra un pezzo e l’altro allo stesso tempo. Tessuti molto diversi tra loro—mesh, mikado, shantung, pelle e nappa resinata, satin, nylon—tutto buttato lì un po’ per caso. Non riesco a vedere reference, ispirazioni stilistiche, non riesco a capire chi sia Madalina. Ma lei vuole davvero far capire chi è con il suo brand? Forse no, e va bene così.

“La collezione esplora i contrasti come fondamento estetico: trench scultura si ergono come vere architetture tessili, abiti e camicie incorporano inserti tecnici, le asimmetrie strutturali richiamano il brutalismo urbano, mentre i drappeggi mantengono il respiro classico di una femminilità fluida e potente”—femminilità il cui elemento cardine è ancora la bralette, il reggipetto, qualcosa che ci costringe invece di farci respirare, che ci rende belle agli occhi degli altri. Un’estetica kardashiana, diremmo, o forse semplicemente quello che ci meritiamo.

MADALINA CAMINSCHI SS 2026

Nota positiva: il casting. Molto interessante, modelle molto brave a sfilare, sicuramente una femminilità che mi piace e che noterei in mezzo alla massa. Tuttavia, siamo lì a guardare muoversi sempre gli stessi corpi, le stesse taglie. Ci piacerebbe poter dire che magari un giorno vedremo più inclusione anche nelle sue prossime sfilate.

Altro punto da sviscerare che ci ha colpito è l’interesse per i materiali e la filiera di produzione. Madalina ha deciso di usare solo pelle conciata al vegetale, lavorata con maestria in Veneto, cuore pulsante della tradizione pellettiera italiana. Dichiara che i tessuti sono stati selezionati con attenzione tra le migliori manifatture italiane, collaborando con laboratori d’eccellenza distribuiti sul territorio: in Veneto per la pelle, in Lombardia per tessuti e maglieria, in Campania per il denim.

Inoltre, per garantire esclusività e rispetto della qualità del prodotto, la designer ha deciso di limitare la produzione e avere una filiera tracciabile, trasparente e selezionata. Non sappiamo bene cosa intenda per tutto ciò, ma confidiamo nel fatto che abbia tutto il tempo per dimostrare questa sua volontà, poiché parla di capi pensati per durare, da custodire come parte dell’identità personale—non come oggetti ma come legami eterni. Il suo vorrebbe essere un impegno per un lusso più sostenibile, che preferirei chiamare più responsabile e consapevole.


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