la moda per raccontare e raccontarsi
intervista a cura di lorenzo mazzanti
Leonardo Valentini è un giovane ed emergente designer romano, è già arrivato alla sua seconda passerella durante la Lineapelle Designer Edition e il suo lavoro è in continua evoluzione. Per Leonardo è essenziale che le sue collezioni raccontino un vissuto fatto di storie e sentimenti che riescano a trovare espressione nei capi che disegna, a cui non pensa come fossero semplici prodotti commerciali, ma come mezzo per trasmettere emozioni. Questa sua capacità di esprimersi grazie alla moda sarà sicuramente una delle tante cose che colpisce i molti artisti con i quali collabora e che cercano nel suo lavoro un modo per riuscire a comunicare anche con gli abiti. Allo stesso tempo, la musica è una grande fonte d’ispirazione da cui attingere per il designer, che anche in questa chiacchierata ha tenuto a sottolineare quanto sia importante la contaminazione artistica.




Definisci “LEONARDOVALENTINI” un progetto estetico più che un semplice brand, quali sono i motivi principali di ciò? È un modo per cercare di restare il più possibile distaccato da dinamiche di mercato ed esprimere al massimo la tua creatività e identità? Poiché il logo e lo storytelling che viene fatto in realtà sono molto efficaci e riconoscibili, nonostante non si parli sempre di branding. Definisco LEONARDOVALENTINI come il mio progetto estetico perché nato da una necessità profonda. Lo sento come un’estensione di me, quasi come un figlio. La mia vita e il mio lavoro sono ormai fusi, soprattutto nei rapporti con gli artisti con cui collaboro, da cui spesso nascono anche amicizie vere. Lo chiamo “progetto estetico” anche perché non è nato con l’obiettivo di vendere, ma come uno sfogo creativo. Mi sono sempre sostenuto grazie al lavoro come consulente e docente universitario di moda; quindi, non ho mai sentito l’urgenza di renderlo subito un brand. Ora, dopo la seconda passerella, sta crescendo e richiede più attenzione, anche sul lato commerciale, che finora avevo volutamente lasciato in secondo piano.
Non mi riconosco nel ritmo frenetico della produzione e della distribuzione estrema. Voglio rimanere una realtà di nicchia, che abbia il tempo di costruire un racconto attorno a ogni prodotto. Anche se sono una persona veloce, non credo si possa fare una collezione al mese senza perdere l’anima del progetto. Vorrei che ogni cosa nascesse da un’urgenza creativa, non da una scadenza. Quando “la vita mi dirà no”, come canta Renato Zero, vorrei che restasse un segno chiaro di chi sono stato, sia come artista che come persona. Le logiche commerciali ci saranno, ma sempre al servizio delle storie che voglio raccontare, e nei tempi che sceglierò io.

Ci spiegheresti come si è sviluppata la tua ultima collezione? Tutto è nato dopo aver visto il film Cruella della Disney. Mi ha colpito il modo in cui viene raccontata la trasformazione del personaggio, come la sua crudeltà sia il frutto di eventi vissuti. Da lì è nata anche l’idea di omaggiare mia zia, scomparsa anni fa, che per me era come una seconda mamma. È stata l’unica, oltre a me, ad avere una vena creativa in una famiglia molto razionale, e mi somigliava tanto nel modo di vestire ed esprimersi.
Quando è venuta a mancare, il progetto era ancora all’inizio, ma è stata proprio lei a spingermi a crederci. Io immaginavo un percorso più classico, lavorare in azienda come stilista, ma lei ha sempre visto in me qualcosa di più — molto prima che lo capissi io.
Porto sempre con me una sua foto, dove appare con alle spalle una scultura a forma di farfalla. Da lì è nato tutto l’immaginario che unisce i dalmata — simbolo della crudeltà della vita e del mondo degli eccessi — con la sua figura eccentrica e generosa. La farfalla è diventata così il simbolo che tiene insieme il tutto: il dolore, la bellezza e la trasformazione, in una chiave molto personale.
Come nasce la performance molto emozionante sia di Sethu e Jiz che tua durante l’ultima sfilata? Tutto è nato grazie a Francesco Mautone, lo stylist che ha seguito la mia ultima sfilata e che lavora con vari artisti che stimo molto, tra cui Chiello — tra i miei preferiti — e appunto Sethu e Jiz. Inizialmente avevamo pensato di usare Annarella dei CCCP, ma poi Francesco ha messo una storia su Instagram con una canzone che si chiamava Orochimaru. Appena l’ho sentita, ho avuto un colpo di fulmine: il testo era profondo, le parole bellissime, e ho subito pensato che fosse perfetta per la sfilata. Non riuscivo a trovarla da nessuna parte, e lui mi ha spiegato che è una traccia nascosta, disponibile solo sul vinile. Questo l’ha resa ancora più speciale. Ho insistito tantissimo per usarla, e alla fine anche Francesco ha ammesso che era la scelta giusta. In più mi piaceva l’idea che fosse un pezzo loro, originale, e non una canzone già conosciuta. Da lì è nato tutto il concept di Crudelio Fabiola.
Effettivamente conoscendo già un po’ i tuoi lavori passati e avendo adesso ascoltato la storia che c’è dietro la creazione di questa collezione, dobbiamo dire che rispecchia molto la tua identità e quello che volevi esprimere con ad esempio l’utilizzo dell’animalier. Io reputo sempre me stesso ed il mio progetto al 50% Glamour, al 30% Punk e al 20% Wild, queste parole mi identificano e sicuramente si tratta di uno stile massimalista. Per quanto riguarda l’animalier, vi faccio questo piccolo spoiler, sto preparando per giugno, durante la Milano Fashion Week Uomo, una presentazione dove omaggerò uno dei creativi che per me è stato fondamentale nel decidere poi di fare questo mestiere, il suo lavoro tra il 2000 e il 2015 circa rappresenta la mia estetica preferita, e sto parlando di Roberto Cavalli. Probabilmente sarà in collaborazione con Camera della Moda, ma anche così non fosse, l’evento si farà.
Come ti sei sentito durante la tua performance e una volta finito lo show? Quando ho pensato a questa cosa, all’inizio non ero sicuro di volerla fare: avevo paura sembrasse solo un modo per attirare l’attenzione. Avevo persino pensato di affidarla a un modello o a un amico. Ma con il tempo ho sentito che dovevo farlo io, anche se ho avuto dubbi fino all’ultimo. Ricordo che dissi alla mia assistente Elena che avrei deciso solo negli istanti finali se uscire o meno con il rasoio. Alla fine, l’ho fatto, camminando molto lentamente per entrare nell’atmosfera giusta. L’atto, poi, è venuto da sé.
Un piccolo aneddoto: subito dopo, Elena doveva portarmi un cappellino per l’uscita finale, ma per un malinteso sul lato da cui rientrare, non riuscivamo a trovarci. Sono stati momenti di vero panico, e infatti nel video si nota che il cappellino non era sistemato bene.
È stato un momento molto delicato. Io non sono un performer — chi mi conosce sa che non vado nemmeno a ballare. Non è timidezza, semplicemente non mi appartiene. Quindi fare una cosa così, davanti a tanta gente, non è stato facile, ma alla fine è venuta fuori in modo molto spontaneo.
Non solo Sethu in questa sfilata, ma fin dagli inizi del tuo percorso il legame con la musica e gli artisti, come ad esempio Irama, è un tratto ricorrente e fonte per te di ispirazione. Come nasce il rapporto con l’artista e perché secondo te vi siete trovati? Con Filippo, in arte Irama, si è creato un rapporto molto speciale. Ci siamo conosciuti perché indossava capi miei scelti da vari stylist e tramite il fotografo Lorenzo Galli, un amico in comune. A Filippo colpiva la qualità, oltre all’estetica — è molto attento ai dettagli — e ha voluto conoscermi. Così è nata la nostra prima collaborazione per il video Aura, poi l’ho seguito a Sanremo 2024 con dei capi custom no brand, per dare centralità solo alla canzone. Anche nei live, come la sua prima Arena di Verona, abbiamo lavorato su uno stile più vicino al mio progetto. Insieme abbiamo anche lanciato un progetto di merchandising che unisce la sua immagine con la mia visione creativa, andando oltre il semplice merch: ogni pezzo racconta una storia.
Di recente sto collaborando anche con Achille Lauro: ci stiamo conoscendo e stiamo lavorando a nuovi progetti. È una persona speciale, e il nostro incontro è arrivato nel momento giusto — anche perché la farfalla, simbolo del mio ultimo concept, è anche quello del suo nuovo album. Il mondo della musica mi stimola molto. All’evento di giugno terrò un discorso e parteciperanno diversi artisti con cui ho collaborato, parte della mia angelsarmy.

Quanto è importante la contaminazione con la musica e gli artisti? Pensi che influisca sul tuo processo creativo? Assolutamente sì, la contaminazione è fondamentale. La musica e gli artisti influenzano costantemente il mio immaginario: da Lenny Kravitz, che ho avuto anche l’onore di vestire, a Billy Idol, Sid Vicious, Steven Tyler, Yungblud… mi basta vedere un gesto di un loro video per avere subito milioni di ispirazioni. Per deformazione professionale tendo a guardare ogni cosa con occhi progettuali: faccio screenshot, salvo immagini e creo reference in continuazione. A volte è quasi una condanna perché la mia memoria (di 2 tera è sempre piena), ma è parte del mio processo creativo.
Restando sempre sull’ultima sfilata, quasi sempre i modelli durante Lineapelle sono gli stessi, durante il tuo show abbiamo potuto vedere però volti diversi, è stata una scelta ben precisa? Dovuta da cosa? Sì, è stata una scelta molto precisa. Grazie a Francesco Mautone, abbiamo inserito nel team Gigi, una casting director davvero bravissima. Già da gennaio ci scambiavamo PDF con proposte e suggestioni sui modelli. È stato un lavoro di confronto continuo: io, Gigi e Francesco abbiamo tutti caratteri forti, ma ci siamo amalgamati al punto giusto. Gigi ha curato la selezione e ha portato profili molto in linea con la mia visione: particolari, artistici e molto punk!
Un esempio è Ali James, il modello con la cresta che ha indossato uno dei look più forti dello show — giacca e pantaloni con tagli ispirati a Edward mani di forbice. È arrivato dagli Stati Uniti, ed è anche amico di Johnny Depp. Fino all’ultimo non sapevamo se sarebbe riuscito a venire, quindi avevamo un piano B. Inizialmente gli avevamo assegnato un altro look, basandoci solo sui social. Ma appena l’ho visto dal vivo, ho capito subito che doveva indossare quel completo.
Oltre alle nuove entrate, ho voluto mantenere anche alcuni volti a cui sono affezionato, come Daniele e Tyler, che aveva aperto la collezione dell’anno scorso. Mi piace creare continuità, ma anche lasciare spazio a nuove identità.
Il tuo team è come una seconda famiglia per te. Lo si evince dalle tue parole e anche dal tuo short film, ad esempio, quanto è importante lavorare con persone che non sono solo colleghi ma anche di più e quanto sono centrali e coinvolti nella fase del tuo processo creativo? E che benefici porta questo aspetto al tuo lavoro? Per me è fondamentale. Il mio team è una vera seconda famiglia, e questo è un valore che condivido anche con artisti come Achille Lauro, con cui mi sono trovato subito in sintonia anche per questo motivo. Ho la fortuna di lavorare con persone di grande talento: i mie assistenti Elena ed Edoardo, le modelliste Concetta ed Eleonora, Pierguido per la pelletteria, i miei fornitori, Matteo Cesarotti con il suo team e Bianca Beltramello che segue con vera passione e dedizione le grafiche di stampa. Ognuno ha un ruolo chiave. Mi confronto sempre con loro: mi fido del loro giudizio e lascio libertà nella realizzazione dei capi. Cerco anche di dare spazio ai giovani: Elena, ad esempio, sta iniziando a disegnare pantaloni, mentre Edoardo segue i contenuti visivi. Voglio che crescano con me.
Ovviamente tu hai un rapporto speciale con la pelle. Da dove nasce? E qual è la cosa che ti piace di più di questo materiale? Come viene affrontata la sua lavorazione da un punto di vista della consapevolezza ambientale? Il mio legame con la pelle nasce ai tempi del Polimoda: non una scelta di immagine, ma una passione autentica. Lineapelle è stata come una seconda famiglia, con Fulvia Bacchi che ha creduto in me fin dall’inizio, e di questo sarò sempre riconoscente. Lavoro con artigiani come Pierguido del laboratorio Sulpizi di Rieti, utilizzando scarti di pellame per creare accessori. Una delle mie cinture realizzate da lui è stata indossata da Ethan dei Måneskin, ricordo la sua felicità nel vedere valorizzato il lavoro artigianale italiano che a mio avviso andrebbe sottolineato maggiormente.
Per me la sostenibilità è qualità: un oggetto ben fatto dura nel tempo. Cura, dettagli unici – come i tiralampo a forma di angelo di Etruria o le borchie tridimensionali – fanno la differenza. Rifiuto produzioni low-cost e scelgo la qualità, anche quando è la strada più difficile.
Abbiamo già parlato di legami nel corso di questa chiacchierata, quello con la musica, quello con il tuo team. Inoltre, anche il logo con i due cupido è un simbolo di legame in fondo. Le tue collezioni e gli abiti che crei si potrebbero definire come il mezzo che lega te al pubblico. Che rapporto hai sia con il tuo pubblico che con le tue creazioni una volta che diventano anche degli altri? Ricordo quando una mia amica vide un ragazzo scendere da un treno con un mio capo: fu stranissimo, ma bellissimo e quando me l’ha raccontato mi faceva veramente uno strano effetto.
Vorrei che chi veste LEONARDOVALENTINI sia in linea con l’identità del brand. Se non piace a tutti, va bene: il gusto è specifico e soggettivo per fortuna. Odio i tuttologi e i brand che accontentano tutti poiché tendono a perdere aura e personalità. Ma tornando a me ciò che conta è che si percepisca sempre la cura, la qualità e la verità che ci metto nel mio lavoro.
C’è qualche altra passione o qualche affetto caro che è importante per te e ha influenza nella tua vita quotidiana e nel tuo processo creativo? La parte familiare femminile: mia mamma, mia nonna, mia zia. Loro non lo sanno poiché non sono una persona troppo espansiva ma se esisto è grazie a loro. Ultimamente anche mio padre si sta appassionando, mi vede su Tiktok più di quanto non mi guardi io per esempio.
Poi c’è Bianca Beltramello, la mia spalla. Oltre a curare grafiche e stampe, sarà anche la direttrice fotografica dell’evento di giugno. Siamo molto diversi nei gusti, ma ci completiamo. La prima stampa che abbiamo fatto insieme era uno zebrato con angeli — e da lì non ci siamo più fermati. Apprezzo molto il suo spirito critico: è diretta, onesta, precisissima e il suo giudizio per me conta tanto perché mi apre sempre delle porte di discussione interiore.
Cosa è che ti spinge a fare all in e metterti in gioco? E quanto è difficile sia a livello pratico che sentimentale? Quanto lavoro e sforzi richiedono? E quanto ci si sente vulnerabili quando lo si fa? Esporsi significa essere vulnerabili. Dopo la mia prima sfilata Baratto, ho attraversato un momento molto difficile, di forte depressione. Con l’aiuto di una professionista ho capito che la moda è un continuo investimento, mentale ed economico.
Serve equilibrio per affrontare le pressioni: mentre esce una collezione, devi già pensare alla successiva mettendo sul mercato la passata. Ma sto imparando a gestire questi momenti. Amo quello che faccio, mi ci dedico al 100%, e proprio per questo a volte ne sento il peso ed altre no. Ma non potrei fare altrimenti.
Ci vediamo lunedì 23 giugno 2025 a SPAZIO LINEAPELLE per conoscere la nuova collezione di LEONARDO VALENTINI!



