il mondo di silvia tra moda, arte e sociale
intervista a cura di federica lo cascio
Abbiamo incontrato Silvia per la prima volta durante un evento a Roma. Un amico ci ha presentati e, da quel momento, è stato amore a prima vista. Grinta, voglia di fare e tante parole pronte a uscire da un cuore che, a volte, è freddo, altre spezzato e poi ricucito. Silvia, MMARLA, AtelierChromatik: tutte sfaccettature della stessa personalità, perché possiamo essere tutto questo, come nulla, basta volerlo. E Silvietta (come la chiamo io) lo vuole.
La tua bio su Instagram è molto provocatoria e affascinante. Recita: “Cambio l’arte e poi mi uccido come Van Gogh”. Cosa ti spinge a usare l’ironia e il riferimento al grande artista per descrivere la tua visione della vita e dell’arte? La mia bio, in realtà, è una citazione rivisitata della canzone Bad & Breakfast di Achille Lauro. Lui dice “mi uccidi”, mentre io l’ho cambiata in “mi uccido”. Mi piace pensare alla mia vita con una visione deterministica, dove posso decidere io quando mettere la parola “fine”, in relazione anche al fatto che nell’arte vedo lo spessore fragile di un ideale e di una libertà per la quale, in un’ottica catoniana, sarei pronta ad uccidermi.
La tua arte spazia dalle opere pittoriche agli oggetti di moda. Come descriveresti il tuo stile e la tua filosofia artistica in poche parole? Senza regole. Ho bisogno di esprimermi, non è importante come, bensì è fondamentale che sia qualcosa di vero. Credo ci sia bisogno di verità in un mondo costellato da finzione. E nell’arte sei condannato ad essere te stesso, perché tutto ti tradisce: i soggetti, il tratto, i colori che utilizzi.
AtelierChromatik è un mix di arte, moda e upcycling. Come è nata questa fusione tra mondi così diversi ma interconnessi nella tua mente? Nasce dal fatto che AtelierChromatik non è stato creato per essere un brand, piuttosto un movimento che ricalcava l’onda del progetto artistico: un rivendicare l’unicità, la verità e la libertà di essere se stessi. L’utilizzo delle varie tecniche riprende la stessa filosofia dei quadri; oltre l’elemento fisso dello scontrino, le tecniche e i materiali sono al servizio del mio momento creativo. Dipingo quando sono in confusione e ho bisogno di fare ordine e quella confusione si tramuta in un mix di tecniche. Non c’è uno schema preimpostato, la stessa cosa succede con i capi.
Perché MMARLA? “Mmarla” prende ispirazione dal personaggio femminile del film Fight Club, nel quale viene definita “un taglio sul palato che si rimarginerebbe se la si smettesse di stuzzicarlo con la lingua”. Mi sono ritrovata in queste parole perché, come lei, con la mia arte cerco di stuzzicare “il taglio sul palato” di un presente avvilente, in cui a fare le spese di un futuro fagocitante e ultra-competitivo è l’arte, relegata ai margini dell’economia come un bene di nicchia, svilito nella sua ricchezza. Rappresenta il rivendicare il valore delle cose sul prezzo e l’idea che non è tutto in vendita. La doppia “M” invece l’ho usata per dare un tono identitario, essendo “Macaluso” il mio cognome.
Sei una designer di moda che lavora con il concetto di upcycling e personalizzazione, creando pezzi unici. Come scegli gli oggetti da trasformare, e quale significato attribuisci al processo di “reinvenzione” di un oggetto già esistente? L’upcycling nasce per me perché mi dispiaceva buttare alcuni vestiti che non indossavo più; mi sembrava di buttare via quel momento e lo stato d’animo di quando li ho acquistati. Sono molto emotiva e non butto neanche le penne quando non scrivono più. Tutto ciò l’ho trasferito nel brand, perché rappresenta quel concetto per cui nella vita ci si può sempre reinventare, se non si è più felici di chi si è o di che rotta sta prendendo la nostra vita.
Studiare giurisprudenza mentre sei immersa nel mondo della moda e dell’arte è una combinazione piuttosto originale. Come riesci a bilanciare questi due mondi, e in che modo la legge entra nella tua creatività? Ho studiato un filosofo di nome Schelling, il quale affermava che l’artista è paragonabile a Dio, perché sfida l’atto divino del creare. Ragionando sul mio percorso giuridico, io vorrei fare magistratura minorile e possiamo dire che il magistrato è una sorta di rappresentazione del giudizio universale di Dio nel nostro sistema. Pertanto, quando iniziai l’università, mi aveva affascinato questa visione come punto di contatto. Allo stesso tempo, ad oggi con la mia arte cerco di aiutare la società, sperando in una svolta, in un cambiamento. Il fine ultimo di voler fare magistratura minorile è lo stesso: riuscire, tramite quest’ultima, a salvare i bambini da determinati contesti, per provare a dar loro un futuro con opportunità degne ed evitare poi determinate dinamiche. Credo anche che questo sia un punto di contatto molto forte.
Nel tuo lavoro come nei tuoi contenuti social, c’è un senso di ribellione contro le convenzioni. Pensi che la moda, come l’arte, debba essere un atto di sfida e di rottura con le aspettative sociali? E come femminista che si esprime attraverso l’arte e la moda, quali messaggi speri di trasmettere al tuo pubblico con il tuo lavoro? Penso che, per come la vivo io, debba essere qualcosa di rivoluzionario, un qualcosa che ti lasci con delle domande da porti, dopo esserci entrato in contatto. I messaggi che vorrei trasmettere, e che spero arrivino, sono: l’essere sempre fedeli a se stessi, che soffrire è umano, il ricercare sempre gentilezza ed educazione e, soprattutto, il provare con tutti i mezzi che si hanno ad essere istruiti, coscienti e liberi.

In che modo, invece, il tuo background artistico e il tuo approccio giuridico potrebbero evolversi e influenzarsi a vicenda nei prossimi anni? Hai mai pensato a come le tue conoscenze giuridiche potrebbero applicarsi al mondo della moda e dell’arte? Se dovesse andare tutto nel verso giusto, sicuramente le mie conoscenze giuridiche mi renderebbero in grado di essere manager di me stessa.
Ultima news è stata la collaborazione con Andrea, fondatore del brand di gioielli Indigeno. Come è nata? L’idea degli anelli c’è sempre stata, serviva solo l’occasione. Dicevo già ai miei amici che avrei voluto realizzarne uno, un po’ per poterli indossare più che vendere. Poi quando Andrea me l’ha proposto, ho pensato di unire le due cose: sia fare un anello che avrei indossato, sia un oggetto commerciale. Per la realizzazione ci siamo ispirati a un mio quadro dove è presente un cerotto vero con su scritto “scusa” con il pennarello nero che tiene insieme un cuore strappato a metà. Per quanto riguarda, invece, la realizzazione pratica, quella è stata tutto merito di Andrea. Siamo molto soddisfatti del prodotto finito perché è anche il simbolo di un’amicizia e di una stima artistica che ci ha portato poi alla collaborazione.

Fra vent’anni, chi sarà MMARLA? Cosa ti immagini di essere o di aver realizzato in quel momento? Quali sogni hai per il futuro, sia per il tuo brand che per te stessa come artista e persona? Questa forse è la domanda più difficile a cui rispondere. In quanto Silvia, mi auguro di essere serena; come MMARLA, sogno i grandi musei e l’essere riuscita a far diventare le mostre-evento interattive, che ora organizzo per presentare la mia arte al pubblico, eventi sempre più grandi e importanti che riescano ad essere qualcosa di nuovo in un’era in cui sembra sia stato tutto già visto.






