un legame che diventa arte

Due anime, un legame indissolubile e una passione che prende forma attraverso la creazione di gioielli. Anna e Giovanni, fratelli uniti dalla stessa energia creativa, raccontano la loro straordinaria avventura con ALEF, un brand nato dalla voglia di trasformare ogni gioiello in un’opera d’arte piena di significato. Con il supporto della madre orafa e grazie ad una visione condivisa, questi due giovani talenti dimostrano come dietro ogni creazione non ci sia solo estetica, ma anche cuore, autenticità e un messaggio profondo.

In questa intervista, i due fratelli si raccontano ad ALL in magazine, svelando la genesi di ALEF, la filosofia dietro ogni loro gioiello e l’importanza di credere nella forza dei legami, siano essi familiari, creativi o con ciò che ci circonda.

ALEF: da dove è nato il progetto? Anna: L’idea è nata in periodo di pandemia, quando Giovanni decide di creare un brand con mamma, già orafa e nel settore da anni. Io ero ancora marginale nel progetto, stavo studiando e avevo altre priorità. Anche perché avere un brand tutto tuo è un po’ spaventoso, significa che tutto dipende dal tuo lavoro. E inizialmente stavo dietro le quinte, poi quando uscì la prima collezione, Gio mi ha parlato bene di cosa fosse per lui ALEF. E tutto nacque in quel preciso istante: mi spiegò la sua idea, la quale non era semplicemente “creare gioielli con mamma” bensì dare un significato ad ogni cosa che si fa, mandare un messaggio con ogni creazione. E questo mi ha fatto pensare: che figata!

Perché ALEF? Giovanni: In realtà ci sono diversi motivi per cui si chiama ALEF, io però ve ne posso dire solo uno. Tutti gli altri sono più nascosti. La ragione principale è che si chiamava così prima del mio avvicinamento al progetto zero e non volevo cambiare la sua natura. Mi sembrava perfetto così come era e ancora oggi è veramente azzeccato per noi, per quello che facciamo e che vogliamo comunicare. Banalmente, se cerchi “aleph” su wikipedia capisci tante cose di noi.

Come è stato fondare un brand dal nulla? A.: Inizialmente era difficile poiché sembra tutto facile con i social, ma in realtà dietro c’è un lavoro assurdo. A partire dalla progettazione e studio del concept di Giovanni fino alla creazione di ogni gioiello, e poi ci sono io. Principalmente mi occupo della comunicazione, dei rapporti con le persone per creare i loro gioielli personalizzati e del cercare eventi adatti a noi. È un lavoro difficile ma anche una vera figata. Bisogna collaborare con tantissime persone, capire quali sono le opportunità, mettersi in gioco, e trovare ciò che è più adatto al tuo brand lasciando stare quello che fanno gli altri, i quali magari provano a percorrere delle vie più semplici. Noi non ci sentivamo di non seguire quelle strade, ma le nostre.

Perché aprire un brand nuovo di gioielli oggigiorno? A.: È una bellissima sfida perché lo fa già tantissima gente; quindi, tutto sta nel creare qualcosa di nuovo e soprattutto dargli un’anima. Il mio legame con il marketing è molto spigoloso, perché spesso è troppo strutturato, più lo è più mi sembra finto. La comunicazione cambia nel tempo e tantissime persone mi hanno dato consigli per avere più followers mediante influencer ma trovare qualcuno che comprenda a pieno l’anima del brand è difficile. Perciò ci siamo messi noi davanti la telecamera.

Inoltre, abbiamo dovuto fare tutto da capo con la comunicazione dei social, poiché il primo profilo in realtà è stato hackerato e da un lato è stata l’occasione per ripartire da zero dando un’anima anche alla comunicazione. Tutto ciò è stato ed è possibile grazie anche ad un team creativo che supportiamo senza dare delle direttive sulle nostre idee ma creando uno storytelling insieme.

Come nasce un gioiello alef? G.: Fin da piccolo sono sempre stato molto curioso del lavoro di nostra madre, andavo a spiare cosa faceva nel suo laboratorio. E le cose non sono cambiate, è solo diventato un processo collettivo, un lavoro di cui sentiamo il bisogno di farlo insieme.

Io mi occupo di tutta la parte iniziale, di pensare al significato del gioiello, poiché non è solo estetica ma c’è un mondo dietro al gioiello Alef, fatto di dettagli e unicità. C’è uno studio continuo da parte mia attraverso gli schizzi a mano libera, i quali mi permettono di essere davvero libero e soprattutto non essere influenzato dai tanti schemi preimpostati dalla tecnologia, poiché come disse Oliviero Toscani: “il computer è un imbecille veloce”. A me piace poter essere libero quando penso ad un gioiello e mi piace dare la stessa libertà a mia madre quando lo vede come un semplicissimo disegno e lo fa suo, mettendoci quello che sente. Le due linee che creano una finestra sulla pietra è una cosa pensata da nostra madre, non creata da me. All’ultimo dissi a mia madre che non dovevamo chiudere la geometria, e vidi come lei spontaneamente fece un giro con la cera creando un effetto a pergamena. Le dissi di fermarsi, non aggiungere altro poiché è come se fosse il simbolo di noi due e nostra madre.

Su ALL in parliamo spesso di Made in Italy e di sostenibilità come mezzo per fare arte e moda. Cosa c’è di sostenibile ed etico nel vostro brand.

G.: Già solamente il fatto che produciamo tanti gioielli ma con una bassissima quantità di cera ti fa capire che la sostenibilità fa parte di noi per ciò che siamo e facciamo. E sono contento perché non abbiamo dovuto cercare un modo per essere ecosostenibili, noi lo siamo e continueremo ad esserlo perché ogni gioiello è unico. Le pietre sono naturali, non c’è nulla di chimico e qualsiasi prodotto viene creato producendo uno spreco bassissimo. Potreste definirvi un brand etico in quanto la sostenibilità non deve essere sempre un obiettivo, ma come nel vostro caso il mezzo. G.: Esatto.

Nella nostra ultima submission abbiamo parlato di LEGAMI. Come fratelli, quanto siete legati? Ma soprattutto quanto vi ha legato Alef?

A.: Fin da piccoli abbiamo avuto un legame fortissimo avendo una grande sintonia soprattutto nell’età della crescita. Ho sempre detto “il mio migliore amico è Giovanni”. Questo perché lui riesce a parlare senza filtri, senza essere mai invidioso di me come potrebbe capitare con un amico magari, poiché tra fratelli il primo interesse è che lui stia bene e viceversa. Ovviamente ci sono sempre i litigi ed è giusto pure che sia così, è quello spaccato di vita quotidiana e familiare che rende tutto più reale.

G.: Penso che quello che mi lega tantissimo a lei è questa energia, che sentiamo sia tra di noi che negli altri. Qualcosa che non posso spiegare ma che esiste. Sono quelle cose che canalizzate in una certa maniera ti permettono di creare qualcosa di bellissimo. Come diceva Anna, quando siamo allineati è come se fossimo un solo corpo che va e sfonda tutti gli ostacoli. Quello che ci lega è la visione. Semplicemente lei ce l’ha più nel suo modo di essere e io per quello che vorrei lasciar comunicare, ma è incredibile che questi vanno di pari passo nel brand di Alef. E se non sei allineato, nella vita lavorativa come in quella quotidiana, con te stesso o con l’altra persona non farai mai niente di originale. Per questo noi cerchiamo di mantenere sempre la visione.

A.: Con il brand il nostro legame ha assunto una sfumatura differente. Poiché rimaneva sempre mio fratello e in quanto tale parte di me, ma stiamo creando una roba insieme. È strano dirlo ma è come se ALEF fosse nostro figlio pur essendo fratelli. Non so neanche spiegare quanto è forte. Con ALEF il legame è più serio e professionale da un lato, avendo un obiettivo da percorrere insieme, dall’altro c’è un rapporto di affetto e rispetto.

Nella vita quotidiana, nel lavoro, nelle relazioni cosa significa per voi legarsi?  (potremmo dire che è come fondere dei metalli per farne un gioiello?)

A.: Per me il legame si costruisce col tempo e con il desiderio delle persone che lo stanno creando. È difficile trovare quello autentico, ma non impossibile. In realtà il legame si può sentire anche con la natura o con se stesso. In questo periodo della mia vita lo sto sentendo tantissimo, chiedendomi: “Anna chi sei? Che vuoi?”. Soprattutto perché stando insieme alle persone si può perdere la concezione di se stessi. Per essere il più autentico possibile devi già avere tu un rapporto sano con te stesso per poter poi dire “io sono questo e posso costruire altro con le persone”.

G.: Legarsi è appartenenza. Posso sentirmi legato agli alberi, al mare, alla mia famiglia, cose che ci appartengono e sono qui da sempre. È difficile legarsi ad una macchina, ad una moto, io stesso sono il primo che amo i beni materiali ma è non è la stessa cosa del legame di cui stiamo parlando. Per me è una cosa molto più profonda di cui tu investi te stesso, il tuo tempo e le tue energie perché sai che ti appartiene, che ci tieni e che la difendi; ma legame è anche lasciare andare tutto questo. Confido nel legame perché è ciò che ci permette di essere vivi, di sentirsi parte di qualcosa nel senso buono, senza attaccamento.

L’idea di legame può essere identificata in un vostro gioiello? Se si quale?

A.: In ambito di gioielli, quello che sento più autentico in termini di significato è BELIEVE, ovvero il ciondolo a croce. Poiché rappresenta un nodo, un qualcosa di pesante che ti è successo nella vita, il quale si scioglie in una goccia diventando parte di te. Quindi da quella difficoltà tu rinasci. Per questo il legame più forte è con me, nelle mie difficolta e nel non fermarmi mai nell’essere in un solo modo.

Scrivi in una parola ciò che è Alef.

A.: Io ho scritto “autentico”. Perché ALEF non nasce da qualcosa di costruito bensì da qualcosa di naturale e a sua volta non può essere falso. Non ha un costrutto. È reale, non è falso, è naturale.

G.: Ho scritto “energia”. Sia perché è il motore che ci spinge a fare sempre qualcosa di nuovo e sia perché spesso quando faccio vedere un nostro gioiello e lo porgo in mano, la persona mi dice “sento un’energia”. Sono cose che non si possono spiegare. E come se tutto quello che abbiamo detto fino ad ora si concentrasse nel gioiello stesso. Ha un potere evocativo. Si vede che è una cosa che non è stata disegnata al computer, che non è stata fatta in serie, ma che ha un significato al di là di quello originario che gli abbiamo dato noi. Io posso dirti che VIDIRIS rappresenta il verde, la natura, i rettili, o dal punto ti vista personale il tuo legame con la natura ma questa è puramente comunicazione, in realtà già solamente il gioiello ti dice qualcosa. E di ciò sono contento.

Perciò anche alla persona più lontana dal mondo ALEF, arriva tutto ciò? G.: Arriva proprio la libertà. Almeno io spero che arrivi questo, da quello che sento dalle altre persone è un sentimento sempre diverso ma mai negativo. Quello che mi piace è che non arriva lo stesso messaggio a tutti ed ognuno lo interiorizza nel suo vissuto e questa è arte. L’arte è lasciare libertà di espressione e di interpretazione. Posso darti un input su ciò che mi ha ispirato ma il resto lo metti tu.


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