Parliamo con Giovanni e Francesco
Intervista a cura di federica lo cascio
Come è nato ETERE?
G.: Il concept è nato durante la pandemia, a casa di un amico in cui sono rimasto per tre mesi. Lì ho iniziato a scolpire su blender in maniera molto amatoriale, poi ho lavorato di più su tutto il branding, dal nome fino a costruire tutto l’immaginario. Il vero inizio è stato quando ho conosciuto Francesco. Pur avendo approcci differenti, siamo molto simili e confrontandoci abbiamo notato che disegnavamo più o meno le stesse cose, iniziando sempre con dei motivi neogotici o tribali. Io venivo da studi prettamente artistici, avendo fatto pittura al triennio, mentre Francesco aveva fatto il Politecnico; poi incontrandoci durante il corso di Nuove tecnologie a Brera, lo switch dall’analogico al digitale è stato presente in entrambi.
F.: Da quando ci siamo incontrati a Brera, Giovanni mi parlava spesso del concept e voleva che entrassi nel progetto. Poi è stato tutto molto naturale. Io in realtà nasco come designer, mi sono appassionato al mondo del 3d, e facevamo entrambi cose simili che si incontravano nelle linee espressive e nei modi di approcciarsi al disegno, al modello e a quello che volevamo costruirci intorno. Né io né Gio abbiamo fatto scuola di oreficeria o di moda. L’idea di iniziare con un gioiello è stata sua. Poi grazie alla conoscenza di Greta, la quale ci aiuta in tutta la fase finale avendo un background da orafa, siamo riusciti a finalizzare il progetto di realizzazione del gioiello dalla A alla Z. Insieme a lei ci stiamo migliorando sempre di più, è proprio un migliorarsi sincronico.
G.: Tutta la parte creativa è nata anche grazie a un lavoro che ho fatto per Mai Mai Mai che è un membro dei Salò Songs. In quel momento stava lavorando a un progetto da solista, ed io al suo visual da cui ho avuto modo di conoscere una realtà documentaristica degli anni ’70, raccolta da Ernesto De Martino e Vittorio Gallese, i quali raccontavano un po’ alla maniera di Pasolini la realtà del sud Italia, che maggiormente abbraccia dei rituali resi dopo cristiani. Così iniziai una ricerca sui territori. Essendo mio padre siciliano e mia mamma abruzzese, vengo da poli molto energici culturalmente, e in più ho scoperto anche altro rispetto ai rituali che si tenevano in Calabria, in Puglia e in Sardegna. Tutte zone interessate alle credenze popolari mistiche e pagane che sono state edulcorate col cristianesimo e inserite in un sistema più grande, in cui però alcune tracce rimangono. Penso che il nostro interesse derivi più da queste tracce rimaste che dal modo in cui si ha accesso a tutto ciò oggi.
Che cosa significa etere?
G.: Tutto è partito dall’idea di “etereo” in quanto qualcosa di non tangibile. In una visione molto alchemica è riferito ai quattro elementi per cui etere sarebbe il quinto. Espandendo un po’ la nostra ricerca parliamo molto di esoterismo e indaghiamo proprio quella dimensione intangibile dell’essere.
Perché xyz?
G.: “XYZ” in realtà è stato il primo dominio che abbiamo acquistato per il sito e ci piaceva perché è come se fossero delle coordinate spaziali. Visto che blender usa le tre dimensioni, “xyz” ci sembrava che unisse perfettamente il nostro concept.
Come si è sviluppata la prima idea di gioiello ETERE?
G.: All’inizio erano solo tre anelli, poi abbiamo sviluppato insieme il concept che ruotava attorno all’idea di circolarità e ai quattro elementi (cinque con etere). Per questo motivo la collezione si chiama “uroboros”. Ci sembrava perfetto creare qualcosa per tutte e cinque le dita della mano.
F.: Quattro anelli rappresentano acqua, aria, terra e fuoco, mentre il quinto, quello dell’etere, può essere considerato come la somma di tutti questi elementi insieme ma anche il loro opposto, ovvero il nulla. Un elemento misterioso che mantiene quella magia nella vita. Tuttavia, è stato un lavoro molto di pancia, dopo due anni di schizzi, prove, ricerche su ricerche, alla fine abbiamo lanciato tutto in pochi mesi.
G.: Per ogni anello abbiamo creato una simbologia, poiché ognuno era supportato da una figura sacerdotale che indossava digitalmente una scultura come se fosse un esoscheletro, un’espansione cibernetica del nostro corpo, capendo fin da subito che la nostra indagine era basata sul rapporto con la macchina e noi stessi. A mio parere è stato difficile iniziare con un accessorio del genere, perché l’anello ha già le sue difficoltà date dalle misure; tuttavia, partendo da una cosa più difficile abbiamo subito trovato un workflow preciso, unendo la parte più filosofica a quella più tecnica.

A tal proposito, nella nostra ultima submission parliamo di LEGAMI, e forse il gioiello tra tutti i prodotti moda è quello che più ci lega alla spiritualità, anche per mezzo della mitologia, basti pensare banalmente alle corone o agli scettri, il gioiello antico ci mantiene legati ad un essere superiore, che sia una divinità pagane o un nostro Dio. Voi che rapporto avete con il corpo e con l’accessorio sul corpo?
G.: Secondo me è necessario parlare di simbologia quando si parla di oggetti indossabili, non che per la moda non sia così, ma a maggior ragione per la storia del gioiello o per il fascino di andare al museo e vederli come se fossero dei reperti archeologici (cosa che cerchiamo di curare anche noi, come se i nostri prodotti fossero ritrovamenti antichi). Ed essendo un pezzo abbastanza unico, chi lo indossa sente quell’unicità e lo fa suo, il che crea un legame indissolubile con le persone tanto da aver notato una gelosia rispetto ai primissimi pezzi realizzati, così da volerli mantenere e lucidare ma mai cambiarli con pezzi nuovi. Anche rispetto al packaging, pensiamo al prodotto come qualcosa che diventa un oggetto, il quale abita un luogo, sta in casa, diventa tuo. Il primo pack è stato quello della scatola di terra battuta con all’interno la terra dell’Etna e diventato poi un oggetto-scultura da avere in casa come pezzo artigianale.
F.: Abbiamo una concezione post-umana nel nostro approccio lavorativo. Trattiamo il gioiello sia come elemento intrinseco di spiritualità e di vita ma anche come estensione della soggettività della persona. Questo potere spirituale lo noti nel gioiello come nelle performance che abbiamo fatto. Esse espandono la spiritualità non solo nel gioiello, che puoi portare tutti i giorni, ma anche con estensioni, quali maschere e ditali, che storicamente hanno sempre avuto una valenza esoterica fortissima, venendo utilizzati per creare una sorta di contatto tra la terra e Dio. Perciò la nostra ricerca vede da un lato il gioiello così com’è, che puoi indossare, in argento, il quale ha un’anima che si modifica nel tempo, ma allo stesso modo, in quanto ricerca artistica, sperimentiamo estensioni che possono cambiare il paradigma dell’individuo in contesti differenti quindi con performance, come abbiamo fatto a Milano, a San Sepolcro, e come faremo a Stoccarda. Piano piano, attraverso questi appuntamenti culturali e atti performativi, vorremmo disegnare un sistema di estetica sempre mutabile, mai fisso, in grado di riprendere tutti quelli che sono i concetti post-umani legati al mondo dell’esoterismo e del rituale. È un mix mediato attraverso la tecnologia, dove si uniscono i progressi a livello filosofico-artistico degli ultimi vent’anni con pratiche legate all’arte e alla storia del nostro popolo e della nostra cultura, riportando il mistero intrinseco al rituale e alla materia.

Invece, riguardo i vostri eventi, come è stato il primo approccio con il pubblico?
G.: Abbiamo inaugurato il brand a dicembre dell’anno scorso, confermando una sorta di manifesto, con un evento fatto a Roma. Da un lato era una presentazione della nostra capsule Uroboros con gli scatti di Silvio Gianmarco e gli abiti di Pecoranera, dall’altro è stato anche un momento artistico e musicale dove includere artisti come Toni Mai Mai Mai, Mike dei Fuera e Shun, art director di Pecoranera, che hanno suonato durante la serata e contribuito in qualche modo alla nascita di Etere.
Durante l’evento abbiamo anche presentato tutto il team che sta dietro Etere. Ci sono diverse figure con cui abbiamo dovuto e voluto interagire per creare un modus di lavoro che non delega nulla ad un’azienda, non serializza niente. Il nostro scopo era quello di mantenere un approccio in cui ogni pezzo è unico rispetto al metodo di lavorazione, perché aggiungendo tanti passaggi per realizzare qualcosa è come se si sommasse un errore e questo errore invece di cercare di coprirlo con una serialità, l’abbiamo enfatizzato, per cui diventa un segno distintivo. Credo che anche in maniera etica questa cosa dia sostegno al lavoro fatto da ogni persona. Attualmente lavoriamo con Greta, la nostra orafa e con Andrea che quest’anno ha sviluppato uno studio effettivo sulla stampa 3d. L’unica cosa che deleghiamo per forza di cosa è la fonderia.
etere x pecoranera
Per questi e altri motivi possiamo parlare di Etere come brand sostenibile?
G.: Possiamo parlare di etica in quanto la non serialità del nostro progetto deriva dal fatto che ogni pezzo nasce da un’unica stampa in resina. Potremmo rendere questo processo seriale realizzando delle gomme e andando direttamente in fonderia dove lo stampo sarà sempre uguale. Limitando così gli errori ma a noi quelle imperfezioni piacciono. La nostra idea nasce proprio dal fatto che la gioielleria artigianale è sempre passata per la manualità, quindi dalla tecnica della cera persa, noi abbiamo sostituito semplicemente quel lavoro con un passaggio computazionale grazie alle sculture in 3d.
F.: Il nostro obiettivo, supportato da tutta la ricerca che vi abbiamo appena raccontato, è quello di portare al limite, nel suo rispetto, le potenzialità che la tecnologia ci offre. Gli orecchini di anti-uroboros hanno un livello di dettaglio che è millimetrico. Se attraverso la stampa 3d si possono fare cose dettagliate, noi cerchiamo di sfruttarla al massimo.
Come diceva Giovanni, ogni livello diventa sempre più imperfetto rispetto all’altro, una stampa sarà sempre diversa dalla prima perché ci sono tantissime variabili quali la temperatura, la fonderia in cui si ha un grado di diversificazione, fino alla lucidatura con un altro grado ancora. Così facendo ogni prodotto si distingue dall’altro anche se è del medesimo modello. La questione di unicità sta proprio in questo.



Detto tutto ciò, vedete ETERE solo come un brand di gioielli o c’è dell’altro?
F.: Etere è più una visione che unisce diverse ricerche artistiche per cui non punta ad un’unica direzione e definirla così sarebbe sbagliato e limitativo. Vede diverse personalità all’interno, io, Gio, Greta e altri amici, in cui ognuno ha una ricerca artistica personale ed ETERE è come un punto di contatto tra di noi.
G.: Etere è un movimento, un collettivo vero e proprio fatto da molte più persone oltre che noi. Smette di essere un brand quando diventa un contenitore di altro, e ciò lo fa durante i nostri eventi. Anche quando abbiamo avuto la possibilità di fare un pop up commerciale, abbiamo sempre cercato di inserire qualcosa di culturale. Ad esempio, il secondo appuntamento che abbiamo voluto fare a Milano è stata questa mostra con la partecipazione di quattro artisti: Lorenzo Conforti, Katia Oija, Giuseppe Salis e Gregorio Vignola. Tutti emergenti, nostri coetanei, che lavorano in questo asset tra pittura e scultura.
Quindi, ognuno di loro ha qualcosa di voi e voi avete qualcosa di loro?
G.: In un certo senso sì, è come se ci fosse una connessione. Lì, infatti, è avvenuta la prima performance con la scenografia di Katia, che lavora spesso sull’esoterismo, e abbiamo allestito questi rami all’interno della stanza dove c’erano anche gli anelli inseriti come ritrovamenti fossili.
Prossimo evento dove incontrare i ragazzi di ETERE sarà durante la mostra (hu)machine: a fyborg remediation con la performance “Lycosia”. L’inaugurazione si terrà venerdì 22 novembre al Gmünder Kunstverein in Germania. Tutti invitati a fare un viaggio nel loro mondo.
LINK UTILI
WEB etere.xyz
IG. etere.xyz








