di Vanessa Soraya Siciliano
È da qualche giorno che metto i tacchi. O meglio, che ri-metto, i tacchi. Di quelli comodi, che non ti accorgi nemmeno di avere durante il giorno. Li usavo spesso prima tanto da sentirmi come in ciabatte. Ho smesso di metterli per un po’, non potevo correre veloce con quei tacchi. E poi fanno un sacco di casino mentre cammino e non riesco a passare senza dare nell’occhio. Non riesco a farmi silenziosa quando serve. Forse mi slanciano anche un po’ ed è più facile notarmi quando li metto. Ho provato ad indossarli qualche volta, prima di questa settimana. Poi mi fermavo sulla soglia di casa e, come se fosse normale, infilavo le mie Gazelle. Che ansia che mi mettevano i tacchi. Mi toglievano protezione. Sicurezza. Mi derubavano della tranquillità che vorrei sentire ogni volta che metto piede fuori casa e che a causa del pomeriggio in cui ti ho incontrato non ho provato per un po’. Poi li ho rimessi, un lunedì, senza pensarci troppo. E mi sono accorta di averli indossati per 3 giorni consecutivi solo quando il mercoledì una mia amica mi ha chiesto dove li avessi presi. E che bello che è stato. Cammino con i tacchi. Di nuovo. Addirittura con le cuffiette e la musica a palla. Non ho più bisogno di sentire ogni minimo rumore per essere sicura che nessuno cammini dietro di me. Non mi servono più le Gazelle per avere la certezza di riuscire a correre se serve. Che bello che è stato realizzarlo, pensa che bello sarebbe se questa sensazione fosse un diritto di nascita e non una concessione strappato con le unghie e con i denti dopo mesi di terapia. Pensa che bello sarebbe se quel pomeriggio non avessi dovuto fingere al telefono che qualcuno mi stesse aspettando pronto dietro l’angolo mentre camminavo per i vicoli della mia città. Sì, mia. Non tua. Della mia città, sulle mie gambe. Non tue. Tu non possiedi nulla, tantomeno me. Pensa se potessi indossare quella gonna, quella mini che mi piace tanto, senza sentire il peso degli occhi addosso che mi fanno provare disgusto, che mi fanno sentire spoglia. E non parlo di nudità. Parlo dei tuoi occhi che quel giorno mi hanno spogliato del diritto di dirti no, privata della mia identità, per qualche interminabile minuto.
Sto indossando i tacchi ora, e ho persino la mini che mi piace tanto, e pensa un po’? Ho anche le gambe accavallate sul treno. E se mi guardi so di avere il diritto di non sentirmi spoglia, di avere il diritto di essere me, di essere Donna prima di ogni cosa. Non mi fai più così paura, non abbasso più lo sguardo, non tiro la maglietta per allungarla e coprirmi, perché potrai pensare di avere potere sul mio corpo, ma potrai solo pensarlo perché non lo avrai mai. Appartiene a me, appartiene a me anche quando mi strattoni o cerchi di strapparmi i vestiti. Apparteneva a me ieri, appartiene a me oggi e ancor di più apparterrà a me domani.
Dimmi, hai mai avuto paura di mettere dei bermuda?

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