Di Elisa Chinazzo

Ultimamente abbiamo parlato dell’importante legame tra un archivio e la sua maison. Oggi abbiamo l’onore di visitare il Gucci Garden, nuovo percorso espositivo del brand a Firenze che naviga i 102 anni di storia della maison. La mostra inizia già salendo le scale, guidati dalla storia della fondazione di Gucci nel 1921, come marchio di valigeria e pelletteria fino ad arrivare ad oggi, attraverso tutti i suoi direttori creativi.

La prima sala Stars si apre con i magnifici abiti usati durante le premiazioni e per il Met Gala in un vero e proprio labirinto di specchi. Questi ultimi sono frutto di Alessandro Michele che ha saputo intrecciare rapporti con le star e dialogare col pubblico come non aveva mai fatto nessun altro. La seconda stanza, chiamata Travel, presenta appunto la valigeria e l’importanza dell’artigianalità, valore che ha garantito la fama del brand. La terza, invece, dal nome Icons è dedicata alle borse iconiche riflesse negli specchi, ognuna è l’esempio del legame col suo tempo: la Bamboo del 1947 realizzata col manico in bambù a causa della carenza dei materiali nel dopoguerra; la Horsebit del 1955, col morsetto che richiama il mondo dell’equitazione e la Jackie del 1961 in onore dell’omonima Jacqueline Kennedy.

È nella sala Fashion però che percepiamo davvero la forte connessione che c’è con il passato. I manichini sono disposti a due a due, si assomigliano, ma tra di loro c’è un salto temporale: un modello anni ’70 di Rodolfo Gucci è messo a confronto con un abito Flora reinterpretato nel 2016 da Alessandro Michele, un Tom Ford degli anni ’90 viene rivisitato da Frida Giannini nel 2010 e così via. Ogni direttore creativo ha avuto una visione intima, una sua interpretazione personale e influenzata dal proprio vissuto, che si è manifestata nell’estetica del brand. Basti guardare l’estetica minimalista ma sensuale di Tom Ford, paragonata a quella massimalista degli anni di Alessandro Michele, che strizza l’occhio alla Gen Z; mentre è grazie a Frida Giannini e al suo stile sofisticato che sono state riportate in auge la Jackie e la stampa Flora.

Nella mostra non c’è naturalmente nulla di Sabato De Sarno. Ci vorrà del tempo per capire come si evolverà il suo legame con Gucci, sarà forse lo stilista della fusione tra Ford e Michele? Lo stesso De Sarno dichiara a Vogue: “Voglio che la gente si innamori ancora di Gucci” ed effettivamente, non possiamo fare a meno di pensare alle note di “Ancora” di Mina come sottofondo della runway SS 24 e a quei look semplici, minimal e comfy che tutti vorrebbero nel proprio guardaroba. Sarà quindi un ritorno al passato? O un modo per incrementare il fatturato? Questo lo sapremo solo vivendo. Noi speriamo sempre in un legame più profondo. E ci chiediamo, ma soprattutto vi lasciamo con questo interrogativo: l’incredibile resta quando si continua a scrivere la storia di una maison, pur usando codici differenti e attuali, o snaturando la sua essenza per creare un immaginario nuovo?

Articolo e foto di Elisa Chinazzo

Illustrazioni di Giada Bordoni

Correzione bozze di Eleonora Marina

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