Di Alessandra Mauro

Oggi, 5 luglio, è la giornata mondiale del bikini, indumento appartenente alla moda mare e presentato al mondo per la prima volta nel luglio del 1946.

L’idea di un costume a due pezzi nacque però da due menti. Inizialmente fu lo stilista Heim, che lo chiamò Atome nella primavera del ’46; poi nel luglio dello stesso anno Louis Reard lo battezzò Bikini. Entrambi in nomi erano legati a doppio filo al periodo della bomba atomica e delle esercitazioni nucleari americane nel Pacifico.

Il bikini era ed è un costume da bagno composto da due pezzi, delle mutande più o meno sgambate e un reggiseno dalla forma classica, a fascia o a triangolo. Capo assolutamente rivoluzionario per la donna dell’epoca, oggi sembra essere un qualcosa che si dà per scontato e che ogni donna ha nel proprio armadio, ma molto spesso però è ancora al centro di numerosi dibattiti sociali.

I rigidi canoni estetici che la società odierna impone alle persone e alle donne in particolare, attraverso la veicolazione social di messaggi ed immagini sbagliate, portano a credere che se non si ha un corpo perfettamente in forma, snello, liscio e senza alcun tipo di inestetismo, non si possa indossare liberamente un bikini in spiaggia.

Questo particolare fenomeno, che genera una sorta di “ansia da prestazione” non appena si indossa un bikini e ci si mette allo specchio, ha un nome ed è “Bikini Blues”; esso si manifesta con il sorgere di insicurezze e paure per non aver raggiunto gli standard di perfezione preposti da una società sbagliata.

Tutti dovrebbero sentirsi liberi di indossare ciò che più piace e che fa stare bene con sé stessi, a prescindere dalla propria taglia, tralasciando i giudizi e le opinioni di una società ancora troppo superficiale e cieca.

illustrazione di https://www.instagram.com/alessandramauro__/


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