di federica lo cascio
Una favola, un’utopia, ciò che in teoria non è. La nuova collezione di SIMON CRACKER è un paradosso.



“Un giorno andrò a vivere in teoria, perché è in teoria che va sempre tutto bene”. Questa è la frase da cui è partito tutto il loro lavoro. Viaggiando in questo luogo mistico, hanno trovato un sacco di cose: un libro che in teoria è un’enciclopedia ma in realtà non si può leggere; una bambola che in teoria avrebbe dovuto essere la concorrente di Barbie ma in realtà faceva paura alle bambine; un villaggio che in teoria è un posto grazioso e felice ma in realtà è una prigione dalla quale non si può scappare e si è identificati con numeri; una musica che in teoria era insopportabile, ma in pratica univa le persone di ogni estrazione sociale. Così diversi sono i riferimenti e le provocazioni usate per dare un’estetica “in teoria”: dalla bambola sul mercato e subito ritirata perché faceva paura fino alla cultura rave. “Noi siamo sempre attaccati alla nostra parte creepy – sottolinea Simone Botte -. E poi c’è il rave originale dell’88, quando i giornali lo descrivevano come ‘la festa del diavolo’ ma i ragazzi venivano fotografati mentre ridevano”.
Questa storia è ben rappresentata dal caos felice di Simone Botte e Filippo Biraghi, un mondo sottosopra fatto da centrini sulle scarpe, rosari al posto di cravatte, orli non finiti, spille e balze colorate. Partendo dall’Io bambino, dall’infanzia e da quella giocosità piano piano viene svelato un sottotesto alquanto inquietante di stratificazioni e citazioni punk.
Ecco come le t-shirt dei primissimi rave Acid House del 1988 e lo smile, ridisegnato in teoria, vanno a sbattere con le righe e i trench ‘per bene’ del villaggio de ‘Il prigioniero’ (prima serie televisiva ‘mindfuck’ negli anni ’60). Un contrasto continuo quello del brand, il quale è sempre stato definito come portatore sano di un punk gentile poiché per il team di CRACKER, la bellezza sta proprio nell’imperfezione, nella magia dello sbaglio e nel riutilizzo. Pertanto, la tecnica dell’upcycling è perfetta in questo contesto: i capi vengono rielaborati, smontati e rimontati in maniera diversa per dar loro una seconda chance senza mai produrre la stessa t-shirt in modo ossessivo. Così nulla viene buttato via, né gli scarti di una giornata di lavoro né quei tessuti che “non ci piacevano”, perché possono diventare un patchwork unico e inaspettato.
L’idea di casualità ritorna anche nella line-up, poiché l’ordine delle uscite è random. Sono state sorteggiate le immagini pescando a caso.

Hanno collaborato alla collezione Iris Indrigo e Tommaso Pila, giovani studenti di moda, i quali hanno realizzato due abiti, Francesca Mitolo di Tee-share che ha fornito la base per decine di abiti, Giovanni Mareschi di Laboratorio Riciclo Pelle che ha realizzato tre pezzi in esclusiva, Enrica Ramilli di Da Quy con le calzature, Stellina Fabbri e Michela Crippa che hanno lasciato saccheggiare il loro deadstock di bijoux e Susi Foschi, instancabile ricercatrice di materie prima da crackerizzare.
foto di nick soland
In conclusione, vogliamo ricordare come il brand e tutta la crew CRACKER teneva a puntualizzare che la collezione è dedicata alla gente dell’Emilia-Romagna, che canta spalando il fango.
















