L’unico modo per combattere la guerra contro l’usa e getta è tenerci le cose il più a lungo possibile.
Di Federica Lo Cascio
Riparare non significa che non possiamo permetterci di comprare qualcosa di nuovo ma che non possiamo permetterci di buttare via quello che consideriamo vecchio. Quello che una volta ci faceva vergognare ora ci deve rendere orgogliosi.
Loved Clothes Last, Orsola De Castro, Corbaccio, 2021
Noi semplici consumatori incalliti potremmo fare qualcosa per evitare che miliardi di tonnellate di vestiti popolino un deserto intero come quello in Cile? Già. Tutti noi possiamo contribuire al cambiamento, iniziando da piccoli procedimenti da attuare in casa. Uno su tutti è: rindossare un abito finché la sua vita non è finita, ovvero quando per qualche motivo non può più adempiere alle sue funzioni. Moltissimi vip stanno dedicando la loro immagine al riuso di abiti già messi in gala precedenti: già nel 2001 Julia Roberts saliva sul palco degli Oscar con un abito di Valentino del 1992, che divenne tra i più iconici della grande notte del cinema. La Roberts sottolineò più volte quanto sia legata al riuso, alla sostenibilità e al second hand, anche per l’armadio dei suoi figli.
Possiamo dire, anzi gridare al mondo quanto sia ridicolo ancora oggi pensare che solo coloro che non possono spendere soldi in vestiti abbiano vestiti usati mentre i ricchi li comprino nuovi. Adesso, con le nuove generazioni, vale l’opposto: i millenials e soprattutto la Gen Z vuole abiti vintage conservati con amore che diventano così un’opzione sia d’élite ma anche più consapevole. Altra cosa, diffusa già tra i giovani, è il concetto di riparare o vendere sia un abito di fast fashion così come uno vintage, poiché bisogna riparare sia il vestito di Primark che il Prada vintage.
Ma come evitare allora di acquistare capi ‘scarsi’, i quali dopo qualche lavaggio si rovinano? Punto d’inizio è l’etichetta. Leggiamo le percentuali di materiale usato per la creazione del tessuto, poiché è importante capire come è stato fatto per far sì che la sua durabilità ne preservi il riciclo. Quindi se si ha davanti un capo completamente composto da fibre naturali, lo si può definire biodegradabile. Un capo invece realizzato in tessuti sintetici è molto difficile da smaltire. Inoltre, i capi formati da più fibre (naturali e/o artificiali) sono ancora più difficili da smaltire, in quanto servirebbe una macchina in grado di dividere le diverse fibre per farne di nuove. Ma questa è ancora una tecnologia in evoluzione, per cui è meglio evitare di comprare prodotti misti.

