La controversa rinascita delle città sepolte

Di Andrea Giovanni Calì

“A una distanza di sei miglia a nordest da Ilchi c’è il grande deserto del Takla Makan che, con le sue sabbie semoventi che si spostano in grandi ondate alle quali nulla resiste, pare abbia seppellito 360 città in 24 ore”, così raccontava Mohamed-i-Hameed.

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Una storia di rovine o di risorgimento? La leggenda di intere carovane che, prendendo la via dei musei occidentali, si caricarono di inestimabili patrimoni, trafugati da templi, tombe e rovine e irrimediabilmente portati via dalla Cina, è una sconfitta o può essere definita un risveglio per la storia dell’arte?

Il deserto di cui parla, nel lontano 1865, Mohamed-i-Hameed, impiegato indiano mandato lì dagli inglesi in missione segreta per “esplorare”, è andato distrutto o si sta disfacendo per ignoranza e trascuratezza. Lui stesso fornì la prima prova concreta di “furto archeologico”, o forse dovremmo dire spoliazione nel gergo corretto. Poiché stiamo parlando proprio di questo: per i cinesi i «cosiddetti studiosi» Stein, Hedin e von Le Coq (quest’ultimo legato al Museum für Völkerkunde, odierno Museo Etnologico di Berlino) non erano altro che avventurieri sfrontati derubati della loro storia. Per ammirare quel che ne rimane del bellissimo Takla Makan, infatti, bisogna esser pronti a recarsi in India, Giappone, Russia, America, Taiwan, Corea del Sud, e a visitare più di trenta istituzioni.

L’inglese Sir Aurel Stein è indubbiamente considerato il più scellerato degli archeologi stranieri, seguito a corta distanza dallo svedese Sven Hedin, che dissotterrò importantissimi documenti storici dalle sabbie che coprivano Lou-lan. Quante di queste pitture, sculture e scritture sarebbero sopravvissute se fossero state lasciate in situ? Invece gli uomini occidentali, eroi per le loro nazioni, non avevano molti scrupoli riguardo alla correttezza di ciò che stavano facendo e nemmeno i governi e le istituzioni (incluso il British Museum) che li avevano inviati.

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ph. lucas pereira carlini

Da un lato potremmo parlare di una narrazione quasi epica, un ritrovamento che ha dato tesori a certuni sottraendo tradizioni ad altri. Inoltre, quella dei tesori riscoperti non è stata una rinascita di facile vita: infatti le sette terribili notti a Berlino, durante la Seconda guerra mondiale, spazzarono via più capolavori d’arte dell’Asia centrale di quanti avrebbero potuto distruggerne in molti anni ladri di tombe, impianti d’irrigazione e terremoti.

In conclusione, se oggi andando al British Museum di Londra, al Neues Museum di Berlino, al Museo del Louvre di Parigi, troviamo esposti gran parte di questi tesori è anche grazie ai controversi personaggi che abbiamo citato. La domanda sorge spontanea, li riteniamo furti o salvataggi? Parliamo di rinascita o declino? Certo è che se la storia non fosse andata così, di città come Katak, Ho-lo-lo Kia, Khotan, Urankash, Uighur e Dandan Uilik oggi non ci sarebbe stata traccia.

Dunque, dovremmo combattere per tornare indietro o apprezzare la rinascita che ci hanno regalato, ammettendo di non voler più commettere gli stessi errori del passato? Vi lasciamo con questo dubbio.


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